Usiamo una metafora: cinquemila anni fa, i nuragici in piena Sardegna
non avevano nessuna convenienza a farsi trovare, essendo affacendati
nelle loro faccende. Cinquemila anni dopo (più dodici e una settimana da
un Obama bis) per soddisfare la voglia di visitare Tiscali (il
sito archeologico più famoso della Sardegna, dal cui nome un ex
presidente di Regione ha costruito una fortuna telematica), si rischia
la scomparsa quotidiana di turisti armati di pedule e di buona
volontà. Questo perché si è deciso che il cartello segnaletico è peggio della gramigna infestante e come tale va abbattuto.
Se
poi servono gli elicotteri per cavare dal Supramonte gli avventori
desiderosi di vedere la meravigliosa dolina, poco male. Cosa vuoi che
siano due turisti scomparsi pur di portare a termine l’ottusa missione di privare di segnaletica il versante di ascesa da Oliena (NU)? Del resto Tiscali è “solo” una delle poche meraviglie sarde che se la batte ad armi pari con le famose spiagge bianche
dell’Isola. Tiscali deve rimanere un miraggio per pochi, e quei pochi o
devono noleggiare una guida o passare da un altro Paese. Insomma basta
che non passi dove dico Io (io uomo nuragico che non mi voglio far
trovare): “That’s all, folks”.
Eccoci alla conclusione ghiotta: in Sardegna non si mangia male, tanto meno negli agriturismi. Ma mica puoi decidere Tu (continentale da strapazzo). Lo devo decidere Loro (i nuragici) se finalmente puoi gustare qualcosa di diverso dall’onnipresente menù Uno e Trino agrituristico: raviolo-porcetto-seadas (che ne so, un pollo ruspante ripieno con i peperoni). Tu puoi solo ringraziare. Ringraziare per la loro ospitalità.
P.s.
Lo so che negli agriturismi si mangia a menù fisso. So anche che si
possono trovare: malloreddus, cinghiale, agnello, ricotta, pecorino e
verdure crude. Ma l’ossessione di voler servire il (finto) tipico è a volte molto più forte di una genuina ricerca sulla (diversità) delle tradizioni.
vedi l'articolo nel suo contesto
mercoledì 21 novembre 2012
giovedì 1 novembre 2012
Birra in Sardegna: il successo incontrastato (e poco spiegabile) della Ichnusa

In Sardegna si beve molta birra. Secondo una recente indagine condotta da Makno e AssoBirra pare che se ne beva più del doppio rispetto alla media delle altre Regioni italiane. La birra che si beve è sempre l’Ichnusa. L’ichnusa si produce ad Assemini (CA) ma è di proprietà della Heineken. Anche in altri luoghi d’Italia esiste una identificazione locale con la birra, a volte un po’ paradossale come in Puglia. Ad esempio a Taranto si beve la Raffo, marchio Peroni che la produce nei suoi stabilimenti a Bari. A Bari invece si beve la Peroni fondata a Vigevano e ceduta alla SABMillerm che la produce a Roma, A Lecce si beve la Dreher, fondata a Trieste, acquistata dalla Heineken e prodotta negli stabilimenti di Taranto.
In Sardegna però è un’intera regione che beve in esclusiva una sola birra. Da sud a nord, da est a ovest la proposta è sempre la birra con l’effige dei Quattro Mori. Nemmeno la persistente rivalità Cagliari Sassari scinde i sessanta litri pro capite di ogni sardo in una possibile diversità d’acquisto. L’Ichnusa mette d’accordo il gusto di tutti gli isolani. Una unione d’intenti per altro in controtendenza alle peculiarie caratteristiche sarde: orgogliosi sempre ma divisi su tutto. Perché questo successo per una birra industriale non così diversa da altri marchi della medesima proprietà o di altre multinazionali? Una prima risposta, la si trova indagando su fattori di scala globale. Le tre multinazionali che detengono la totalità dei marchi mondiali hanno stretto e costretto in pie illusioni identitarie le comunità che producevano e consumavano birre locali. Nell’etichetta della bottiglia rimane lo stemma della tradizione, ma il contenuto è quanto di più distante da quest’ultima. La seconda risposta ha a che vedere con l’identità sarda e solo con questa: la bandiera dei Quattro Mori ai sardi conferisce un quadro di certezze, come il Cagliari di Gigi Riva, come il maialetto arrosto della nonna.
Fatto sta che il monopolio della birra Ichnusa in Sardegna è qualcosa che mette in crisi qualsiasi teoria della libera concorrenza. Spesso, anche volendo, non si può scegliere: la totalità degli onnipresenti circoli/club e molti esercizi commerciali, spacciano solo ed esclusivamente birra Ichnusa. La seconda e ultima domanda non ha risposte, o meglio io non le conosco. Perché nessuno si è mai proposto nella commercializzazione regionale di una vera birra sarda, in controtendenza alle multinazionali e magari un po’ meno industriale? Eppure i fattori di possibile successo ci sono tutti: se ne beve tanta, ci si identifica presto, basta una bandiera. Un suggerimento per iniziare? Ripartire dagli innumerevoli produttori locali di ottime birre artigianali sarde che soffrono quotidianamente nella distribuzione.
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